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Notizie dalla banca
20/06/2022
HUMAN AT WORK - WHO CARES WINS

Chi si prende cura dell’altro vince: è vero, dobbiamo prenderci cura di qualcuno.

Al di là di noi stessi e del necessario amor proprio che ci permette di essere persone complete e in grado di stare bene prima con noi per stare bene poi con gli altri, arriva per tutti un momento nella vita in cui ci sentiamo chiamati in causa nell’attenzione a “un altro”.

Non vogliamo entrare nel merito di chi sia l’altro: tutti, bene o male, abbiamo qualcuno a cui siamo legati: un genitore, un figlio, un fratello, una sorella, un amico perché no, un marito o una moglie. Ebbene, qualcuno di loro potrebbe avere bisogno del nostro aiuto, della nostra assistenza, una volta nella vita almeno. E quindi tutti siamo potenzialmente caregivers.

Se nel passato questo ruolo assistenziale era attribuito unicamente alla moglie, mamma, figlia, insomma alla donna, oggi non è più così.

Ci sono figli single, o uomini che si danno più da fare in famiglia perché supportano l’attività lavorativa della moglie, coppie separate con figli che si alternano le settimane con loro, famiglie arcobaleno; quindi, da che mondo e mondo, la realtà cambia e le abitudini di vita con esse.

E le definizioni?

Come trattato nell’articolo che ha preceduto questo, anch’esse cambiano, con un po' più di fatica.

Prima ci si scosta da ciò che si considera normale (la donna che accudisce i membri della famiglia) con aggettivi e differenze, poi si chiama il nuovo con il suo giusto nome: ma ci vogliono decenni.

In un processo che va avanti già da qualche lustro, forse accelerato in questi ultimi due anni (facile capire perché), il concetto di caregiver si è ampliato e “normalizzato” trasversalmente su tutti i componenti della società.

Ma chi si prende cura dei caregivers?

Loro sono i forti, quelli che aiutano gli altri, ma per farlo devono essere sostenuti da società e imprese che concepiscono e accettano questo ruolo.

Ecco perché oggi più che mai la dimensione umana delle aziende è fondamentale e si traduce in quell’acronimo ESG (environmental, social and corporante governance) che tanto descrive il rapporto di un’azienda con la società.

Un’azienda ha infatti una grossa influenza al di là del business che genera: ha un impatto sociale, influenze sul territorio/ambiente e dialoga a livello istituzionale con lavoratori interni e stakeholder esterni ai quali deve dimostrare di avere un comportamento virtuoso.

Il concetto di virtuoso non è solo e non è più in termini di fatturato, ma è investito di valori più ampi:

se il fatturato è ottenuto senza discriminazioni o sfruttamenti lavorativi, se tale fatturato viene investito in attività socialmente utili, se è generato grazie al lavoro di uomini e donne parimenti occupati in azienda.

Insomma, le persone sono sempre di più al centro di ogni aspetto della vita, come deve essere.

Il fatto è che lo sono sempre di più in modo interconnesso, inscindibile nei vari aspetti. Il mondo non è più composto da “chi sta a casa si occupa della casa e chi lavora porta i soldi a casa”: il mondo è un complesso aggrovigliarsi di relazioni e compiti.

Per questo noi di BCC Agrobresciano ascoltiamo, prima di ogni altra azione, i nostri clienti e cerchiamo di immedesimarci nei loro bisogni finanziari, perchè per noi sono prima di tutte persone.

E allo stesso modo la nostra Banca, grazie anche alle sue radici che attingono alla storia delle casse rurali e alla dimensione cooperativistica, investe nel territorio, nelle azioni che fanno crescere le comunità locali dal punto di vista non solo economico, ma anche culturale e sociale: dallo sport alle scuole, dall’arte alla prevenzione, BCC Agrobresciano sostiene persone, territorio ed enti.

Leggi l'articolo del de Il Sole 24 Ore - Alley Oop

L’occasione degli ESG per ridefinire che cosa sono le “risorse umane”

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