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22/08/2022
HUMAN AT WORK - Quando il lavoro diventa un vincolo e non un'espressione di sé

Abbiamo già descritto, in precedenti commenti agli articoli della bellissima sezione Alley Oop - ilSole24ORE”, dalla quale prendiamo spunto per la nostra “Human at Work, come un “buon lavoro”, inteso come un’esperienza positiva non solo dal punto di vista professionale ma anche relazionale, sia la base per una realizzazione personale e una produttività lavorativa efficaci.

Il lavoro, nel 2022, non è più solo un luogo, ma un concetto che va ben oltre.

Sul lavoro si deve, o si dovrebbe, esprimere sé stessi, le proprie potenzialità, le proprie capacità: altrimenti, come facciamo a dare il nostro contributo, a migliorare il profit dell’azienda per la quale siamo stati assunti?

Ebbene, pare che in Italia non accada quasi per nulla tutto questo. Pochi, pochissimi italiani si dichiarano coinvolti nel proprio lavoro, appagati – solo il 4%, un dato disastroso – mentre percentuali molto più alte dimostrano dati negativi quali tristezza e rassegnazione. Aiuto.

Come possiamo essere competitivi come nazione, come possiamo mantenere top level il nostro export se chi lo genera non è felice di quel che fa? Questo è un grosso problema, è implosione di quella creatività, quel genio e quella capacità riconosciuti agli italiani.

Ma se il lavoratore italiano non è felice, perché lavora?

Perché deve ed è rassegnato.

Senza cercare di capire da dove derivi questa rassegnazione sociale e professionale – dovremmo aprire un’altra seziona ad hoc – vogliamo sensibilizzare, come fa Riccarda Zezza nel suo articolo – circa la necessità di recuperare questa situazione, potenzialmente devastante.

Pensiamo anche ai giovani: vedendo genitori e conoscenti che lavorano per rassegnazione e non perché ci credono, perché amano quello che fanno, perché si sentono soddisfatti e appagati, con quale spirito si impegneranno un domani?

Facile: o non lo faranno o lo faranno all’estero. I professionisti di oggi hanno una grande responsabilità in termini di esempio da seguire: ancor di più ce l’hanno imprenditori e manager che devono gestire persone, gruppi di lavoro, aziende.

In tutte queste considerazioni e situazioni c’è sempre al centro l’uomo, i suoi bisogni, la sua identità e, per estensione, la sua anima. Perché come abbiamo scritto in altri articoli il lavoratore oggi deve essere concepito come persona, non solo come “operatore”.

Se la persona nel suo tutt’uno sta bene, lavorerà meglio.

Un paradigma semplicissimo da scrivere ma decisamente difficile da mettere in pratica.

Noi di BCC Agrobresciano cerchiamo di farlo da 125 anni, giorno dopo giorno.

La nostra dimensione locale e le nostre origini associative ci danno una grossa mano: per noi considerare Soci, Clienti e Collaboratori prima come persone è naturale, è giusto, è quotidiano.

Crediamo e sosteniamo le persone perché crediamo che solo così possano contribuire al meglio, attraverso le loro attività, al benessere della società e delle comunità nelle quali operiamo.

Da Alley Oop - il Sole24ORE

Solo il 4% degli italiani si sente coinvolto nel proprio lavoro: ultimi nel mondo

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